Io, capitano - Matteo Garrone


Un concentrato di coraggio

 

 

In questo film scioccante di cui vi avevamo già parlato, con Venezia 2023 che faceva da sfondo, Matteo Garrone (vedasi anche il suo "Reality" ed il suo "Pinocchio"), si è calato nei panni di due giovani senegalesi di sedici anni, Seydou e Mussa, per sottolineare l'inferno dei migranti, di quel diabolico viaggio, nel prima, nell'oggi e nel poi. Un film iper realista che tuttavia sceglie, per la sua conclusione, di mettere in risalto la speranza, materializzata dalle coste siciliane. Coste che si offrono agli sguardi stanchi dopo un lunghissimo percorso, ad alta tensione.

Alla Mostra del Cinema di Venezia, questo film, diretto da un vero maestro del cinema, ha ricevuto il Leone d'argento per la miglior Regia... mentre Seydou Sarr si è strameritatamente aggiudicato il Premio Mastroianni. «Ho cercato di dar voce a chi di solito non ce l'ha, ha dichiarato il registra ritirando il premio. Ringrazio i miei attori per la loro straordinaria interpretazione». Stiamo parlando anche di un'opera nominata agli oscar, che sicuramennte sarà e rimarrà un capolavoro. Dove tutto è perfetto, ma mai di quella perfezione leibniziana, nel migliore dei mondi!!... "Perfetto" nel senso di preciso per come inquadra la sofferenza, la barbarie, la tortura... (in posti tanto squallidi). Possiamo pensare anche ai famosi "romanzi di formazione". Seydou infatti si rifiuterà (il poi è un altro capitolo, ne è stato costretto...) di guidare la barca sovraffollata, di improvvisarsi, (proprio) lui, capitano, dopo quel micro apprendistato che strappa un amarissimo sorriso... 

Quando non potrà più tirarsi indietro, messo crudelmente alla stretta, Seydou se la caverà egregiamente... ma solo fin dove può arrivare il suo disperato allarme... Scena, queste, cruciali, più che mai importanti, sulla natura degli "aiuti", di questi soccorsi che possono annullarsi nel rimpallo delle responsabilità! 
Anche le scene di "comunicazione" tra il giovane, già così adulto e ancora bambino, Seydou e sua madre sono affrontate molto chiaramente e finemente.

Di sicuro, siamo di fronte al miglior film su questo tema, delicato quanto fondamentale (pensiamo al precedente "L'America" di Gianni Amelio). E quando vediamo migranti e futuri rifugiati, così in massa, su quel barcone stracarico che non smette di oscillare, vediamo un messaggio di disperazione ma anche di speranza, in un patchwork di colori... per non parlare del posizionamento dei figuranti, secondo punti di vista che tolgono il fiato. Come sarebbe bello potere accogliere la ricchezza della diversità, offrire lavoro come quello da muratore, che porterà fortuna a due protagonisti...

Qui vediamo "gente" (persone!) che si separa, che a sorpresa è venduta come schiava. Persone che si ritrovano e che devono potersi raccontare. È un film d'azione nel senso più impegnato del termine, ma anche di meditazione, favorita dalla qualità della sceneggiatura, naturalmente, ma anche da paesaggi-quadri sublimi. Location che sottolineano solitudine e morte, ma che fanno anche fiorire e che suggeriscono un mondo all'insegna della bellezza, senza scarti abissali tra popolazioni povere e minoranze straricche...

Il film ci "traina" senza nessuna pesantezza (nonostante l'argomento): siamo più che interessati, e subito davvero coinvolti da questi protagonisti e dalla loro giovanile sete di vivere e di ricominciare (lontano dalla propria terra e dalla propria famiglia), che va a cozzare brutalmente, come nei centri della Libia, col peggio del peggio... (inquadrature e scene molto studiate in questo sommo orrore). Qui si lascia anche che lo spettatore mediti sulle malsane, scandalosissime transazioni commerciali tra nazioni, naturalmente...

Peraltro, si sceglie di non parlare di un certo ex ministro dell'interno italiano (che comunque non può non venire in mente), ed è una scelta molto condivisibile, che assicura il buon andamento e lo spirito del film, con mezzi anche italiani per un risultato che non ha frontiere. Un vero capolavoro, certamente.